Archetipo

L’ARTE E LA GUERRA

Un nuovo parco archeologico sul confine turco-siriano

Mesopotamia, sponda ovest dell’Eufrate, confine turco-siriano a 30 chilometri da Kobane. Fra le rovine dell’antica città di Karkemish, un campo minato, un cimitero militare, un muro e il progetto per un Nuovo Parco Archeologico sul confine più “caldo” del globo.

A trenta chilometri da Kobane, sul confine più “caldo” del globo, il progetto realizzato per un nuovo parco archeologico nell’antica città di Karkemish (moderna Karkamış, Gaziantep, Turchia sud-orientale), sulla sponda occidentale dell’Eufrate, indirizza un’area avvilita dal conflitto verso una nuova possibilità di sviluppo. L’“arte e la guerra” è contemporaneamente un progetto di architettura, un esperimento di design e un intervento di land art dai forti contenuti simbolici. Prendendo le mosse dall’interazione con gli archeologi (Università Alma Mater Studiorum di Bologna – Prof. Nicolò Marchetti) e con la comunità locale, i progettisti hanno optato per interventi dal basso impatto ambientale, attraverso la rivisitazione di tipologie regionali, per offrire al turista l’impressione di un progetto pensato per entrare dialetticamente in rapporto con il luogo. Ma il tratto qualificante dell’intervento, articolato per trasformare idealmente un’intera area sottosviluppata, è l’intervento che mira non solo a recuperare gli archetipi dell’architettura secondo un’indagine storica dei percorsi e dei modelli tipologici dell’antica città sepolta, ma anche a fare immaginare un’alternativa alla guerra e alle sue armi di distruzione.

Il nuovo parco sorge in un’area dal fascino ineguagliabile. Qui l’Eufrate scorre lento da migliaia di anni e una fitta vegetazione anima gli isolotti e le sponde del fiume in un contrasto di ambienti e colori tipicamente mesopotamici. Il sito archeologico sorge dunque in un’area fortemente caratterizzata e il progetto del parco tenta di dialogare con i reperti e con l’ambiente naturale che li contiene da millenni, conservandoli. Una “sottile linea rossa” indirizza il visitatore in un cammino a ritroso nella storia, fra gli scavi e, idealmente, in avanti verso nuovi orizzonti possibili, accompagnandolo e indirizzandolo secondo un percorso di visita pensato per coprire l’intera area di scavo e i maggiori punti panoramici; un nuovo portale in pietra (“La soglia”), eco di menhir e della loro ieratica presenza, individua un varco attraverso il quale superare tutti i confini; “Border” (Confine), è l’opera infine che vuol fare riflettere sulla storia, quella antica riemersa in fase di scavo ma anche quella recente, quella cioè che ha a che fare tragicamente con i simboli di ogni guerra: il muro come separazione fra i popoli, gli estremismi come limite mentale dell’agire umano, le mine antiuomo come l’estremo e diabolico desiderio di distruzione. Trenta steli rossi alti 6 metri conficcati nel terreno al posto delle mine ritrovate sotto la polvere ondeggiano sotto l’azione del vento e diffondono nell’aria un ripetitivo suono di campanelli, riconducendo il pensiero ai sussurri dei profughi che a decine di migliaia negli ultimi quattro anni hanno attraversato l’ex campo minato; le trenta luci che si accendono al calare del sole e si confondono con il cielo stellato di un Medio Oriente ferito da eterni conflitti, interrogano sulla possibilità di operare una sostituzione che non è solo materiale ma anche simbolica ed è dunque anche un cambiamento di prospettiva mentale: con l’arte, attraverso l’arte, quella distanza che separa l’uomo dal suo abisso viene così idealmente e poeticamente colmata.

Il progetto è stato pubblicato su varie riviste e libri tra cui: Topscape Paysage n°30/2018, Espoarte 102/2018, Yearbook 2/2017

Qui è possibile vedere un breve video sull’opera Border

ART AND WAR

New Archaeological Park on the Syrian-Turkish Border

 Thirty kilometres from Kobane, just beside the “hottest” border on the globe, the project for a new archaeological park in the ancient town of Karkemish, (modern Karkamış, Gaziantep, South East Turkey), on the west shore of the Euphrates, directs an area ravaged by the conflict towards new possibilities of development. “Art and War” is at once an architectural project, a design experiment and a land art intervention with a strong symbolic function. Starting from the interaction with archaeologists and the local community, the designers have opted for low environmental-impact interventions through the revision of regional typologies to provide the visitor with the impression of a project designed to engage dialectically with the territory. But the key element of the project, articulated to transform an entire underdeveloped area, is the intervention aimed not only at retrieving historical architectural archetypes based on an investigation of the pathways and typological patterns of the ancient buried city, but also to imagine an alternative to war and its weapons of destruction. The new park is located in an area of unparalleled charm. Here, the Euphrates, flowing slowly for thousands of years, along with dense vegetation, animates the banks and islets of the river, contrasting with the typically mesopotamian colours and environment, where Euphrates’s poplar tree dominates. The archaeological site sits in an area of very strong character, and the park’s project endeavours to engage in a dialogue with the artefacts found there, and the natural environment that has held them for thousands of years, preserving them. A “thin red line” directs the visitor on a journey backwards through history, through excavations, and ideally forward towards new horizons, accompanying her and directing her, following a path designed to cover the entire excavation area and the major touristic sites. A new stone portal (“The Threshold”), echoes the ancient menhirs and their hieratic presence, finding a way to cross over all boundaries. “Border” is the element that ultimately attempts to reflect upon history – ancient history rediscovered by the excavation, but also the more recent history, addressing the tragic symbols of every war: the wall as separation of peoples, extremism as the mental limit of human action, and landmines as the extreme and diabolical desire for destruction. Thirty 6-metre red stems driven into the ground, in place of the anti personnel landmines found under the sand, sway under the action of the wind and spread through the air a gentle, repetitive sound of bells, recalling the whisper of the refugees that in the last four years have crossed what was the mine-laden field. The thirty lights, beginning to glow each evening at sunset, mingling with the starry sky of a Middle East wounded by eternal conflicts, address the possibility of a substitution that is not only material but also symbolic, and therefore also creates a change in our own minds – that with art, through art, that distance separating man from the abyss is poetically bridged.

Collaborazioni: Christian Masuero, Paola Sola, Francesca Pesce

Foto: Massimo Ferrando